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La Storia
 
 
 
 
 

Vittoria (60.000 abitanti) ha da poco celebrato il Quarto Centenario della sua fondazione. La città nacque infatti nel 1607, per completare il processo di colonizzazione dell’area occidentale dell’antica Contea di Modica, iniziato in maniera massiccia nel 1550 ad opera dei Conti Enriquez Cabrera, residenti in Spagna, dopo il fallimento della trattativa con l’imperatore Carlo V per una permuta delle terre siciliane con altre in Castiglia. La zona per la fondazione fu prescelta dal governatore della Contea Paolo La Restia, al centro del feudo di Boscopiano, nella parte mediana della valle dell’antico fiume di Cammarana, su cui si affaccia con un magnifico belvedere. L’area risulta abitata sin dall’Età del Bronzo, con evidenze archeologiche dall’età imperiale (II sec. dopo Cristo) fino all’epoca bizantina (inizi IX secolo d. C.), ma non mancano seri indizi dell’importanza della zona in epoca medievale, un vero e proprio crocevia di strade che faceva di Grotte Alte (questo il nome della contrada scelta da La Restia) il punto di risalita delle trazzere che dalla valle si dirigevano lungo il pianoro, verso Terranova. Vittoria, così chiamata dal nome della fondatrice Vittoria Colonna (1558-1633), nata per il vino, rispettò per quasi tre secoli questa sua vocazione, producendo diverse qualità di “vino nero” riconosciuto come assai pregiato già negli anni Settanta del Settecento da Domenico Sestini (fiorentino, segretario del Principe di Biscari). Oggi è la decima città dell’Isola per popolazione e capitale -possiamo dire- di un grande distretto agricolo che si estende lungo tutta la fascia costiera della provincia di Ragusa e delle aree limitrofe delle province di Caltanissetta e di Siracusa. La civiltà del vino infatti, crollata miseramente a fine Ottocento per l’infezione fillosserica e per i difficili rapporti commerciali con la Francia, fu sostituita sin dai primi del Novecento dalla innovativa coltivazione di pomodoro e di altri ortaggi. Poi, alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, dopo le terribili gelate del 1956, alcuni intraprendenti piccolissimi coltivatori sperimentarono la rivoluzionaria coltivazione del pomodoro sotto serra, aprendo una nuova grandiosa fase di sviluppo economico della città che pur con alti e bassi e grandi difficoltà ha radicalmente modificato la compagine sociale e la vita della zona. Negli ultimi anni però, accanto alla serricoltura, si assiste ad un ritorno del vigneto, con la produzione del cosiddetto “Cerasuolo” (nome introdotto dal cav. Giuseppe Di Matteo nel 1950), composto principalmente dalla miscela di uve di qualità “calaurisi” e “rrappato” (note anche come Nero d’Avola e Frappato, che hanno acquistato recentemente una forte autonomia rispetto al Cerasuolo di cui sono componenti). Vittoria nasce per “ordinare” la campagna (Susani, 1985), ma dalla campagna è a sua volta “creata”. La rete delle trazzere che si partono dall’abitato sin dal Seicento riporta in città grandi ricchezze, che a loro volta hanno bisogno di infrastrutture per essere lavorate e commerciate. Nascono quindi i quartieri attorno alle chiese, la piazza per il mercato, le strade verso il mare, dove è necessario creare uno “scaro” a Scoglitti, per raggiungere Malta ed esportarvi il vino e gli ortaggi. Le campagne si arricchiscono di bagli e di palmenti, di case e di mandre. Un ininterrotto sviluppo del vigneto nel Settecento e nei primi dell’Ottocento plasma la città, dandole una forma “quadrata”, che sarà poi razionalizzata dal primo piano regolatore nel 1881 (Cancellieri sindaco, Andruzzi progettista), una conformazione mantenutasi quasi intatta fino agli anni Sessanta del Novecento, quando la grande rivoluzione nelle campagne allargò a macchia d’olio il centro abitato di Vittoria e di Scoglitti. Città “nuova”, Vittoria fu abitata da un crogiuolo di genti provenienti da numerose città vicine (soprattutto da Ragusa, Chiaramonte, Modica e Comiso) e nel corso del Sei-Settecento accolse anche centinaia di famiglie di coloni provenienti da decine di città dell’Isola, della Calabria e soprattutto da Malta. Nella nuova Terra crebbe una classe imprenditoriale formata da numerosi medi proprietari terrieri, produttori di vino, grano e orzo, commercianti e bottegai, con un preponderante ruolo di religiosi assai intraprendenti e ricchi, che non disdegnavano il commercio. Diretti dai funzionari della Contea, costoro crearono le chiese, i conventi, i monasteri, i palazzi e le altre infrastrutture. Tra le maggiori famiglie, nel Seicento si distinsero i Custureri, i Di Marco, i Bellassai, i Calandra etc., mentre nel Settecento assursero a grande potenza i Ricca, che da umili nullatenenti ai primi del Seicento divennero baroni alla fine dello stesso secolo e poi marchesi e il cui maggiore rappresentante fu l’arciprete don Enrico Ricca, personaggio di grande cultura e di notevolissime ricchezze. Nell’Ottocento i Leni di Spatafora, i La China, i Terlato, gli Scrofani, i Jacono, i Mazza, i Pancari etc. furono protagonisti -assieme ai Ricca- del governo della città e della costruzione di numerosi palazzi e residenze in città e in campagna. Tra le maggiori personalità dell’Ottocento (e forse di tutta la storia di Vittoria) troviamo Rosario Cancellieri (deputato dal 1865 e sindaco nel periodo 1879-1882), autore di un ammodernamento complessivo della città. Altro eccellente amministratore fu il sindaco Salvatore Carfì, che realizzò il progetto cancellieriano di portare a Vittoria l’acqua di Scianna Caporale (recentemente messa in pericolo dalle ricerche di gas), che fu inaugurato il 30 giugno 1898. Questi fu anche il costruttore della Officina Elettrica Municipale (1902) recentemente aperta al pubblico dopo un radicale restauro e intitolata al maggior pittore vittoriese, Giuseppe Mazzone (1838-1880). Altre capaci personalità politiche furono il sindaco avv. Filippo Traina (1947-1950 e 1952-1958), che traghettòla città dal dopoguerra all’attuale sviluppo economico e il dr. Rosario Jacono, deputato regionale dal 1955 al 1963, che seguì con attenzione il nascente sviluppo della serricoltura, proponendo il primo d.d.l. all’Ars. Vittoria ebbe anche il merito di essere la culla del socialismo ibleo, creato da Nannino Terranova Giudice (1881-1918), che diede alla città un’impronta politica mantenutasi per tutto il secolo XX. Vittoria, creata da una continua immigrazione, sin dall’inizio ebbe culti religiosi importati dai coloni. A parte quello di San Giovanni (celebrato anche l’11 gennaio, a ricordo dello scampato pericolo del terremoto del 1693), la cittadina onorò la Madonna della Grazia, poi San Vito, San Biagio e Sant’Antonio Abate (una triade a tutela della salute di uomini e animali), creò due conventi (degli Osservanti alla Grazia e dei Paolotti a San Francesco), un monastero femminile intitolato a Santa Teresa; si distinse nella istituzione di scuole femminili, con due Collegi di Maria (a San Biagio e a San Giuseppe). Tra il Sei e il Settecento elaborò la preziosa tradizione del Venerdì Santo, la maggiore manifestazione pasquale, arricchita di un nuovo testo nella seconda metà dell’Ottocento. Ricca di istituti scolastici, diede i natali a poeti (tra essi ricordiamo Alfonso Ricca, Teresa Jacono Roccaddario, Federico Ricca, Neli Maltese, Emanuele Jacono, Emanuele Mandarà); filosofi (Felice Maltese), letterati (Giacomo Samperisi, Salvatore Guglielmino e -di adozione- Virgilio Lavore, Angelo Alfieri, Giovanni Consolino); storici (Salvatore Paternò, Federico La China, Nannino Terranova, Giovanni Barone e -anch’egli di adozione- Gianni Ferraro). Non mancano musicisti, insigni artigiani e artisti (Carmelo Cultraro, Giuseppe Mazzone, Vito Melodia, Salvatore Battaglia, Emanuele Ingrao, Salvatore Gallo, Pietro Palma, Natale Barone. Le tradizioni popolari, comprese quelle gastronomiche sono ricche e articolate e si muovono -assieme alla parlata- nell’ambito di quelle della Sicilia sud orientale.
 
 
 
Tratto da: Vittoria-Scoglitti itinerari storico - artistici. Testo di Paolo Monello

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