Vittoria (60.000 abitanti) ha da poco celebrato il Quarto Centenario della sua fondazione. La città nacque infatti nel 1607, per completare il processo di colonizzazione dell’area occidentale dell’antica Contea di Modica, iniziato in maniera massiccia nel 1550 ad opera dei Conti Enriquez Cabrera, residenti in Spagna, dopo il fallimento della trattativa con l’imperatore Carlo V per una permuta delle terre siciliane con altre in Castiglia. La zona per la fondazione fu prescelta dal governatore della Contea Paolo La Restia, al centro del feudo di Boscopiano, nella parte mediana della valle dell’antico fiume di Cammarana, su cui si affaccia con un magnifico belvedere. L’area risulta abitata sin dall’Età del Bronzo, con evidenze archeologiche dall’età imperiale (II sec. dopo Cristo) fino all’epoca bizantina (inizi IX secolo d. C.), ma non mancano seri indizi dell’importanza della zona in epoca medievale, un vero e proprio crocevia di strade che faceva di Grotte Alte (questo il nome della contrada scelta da La Restia) il punto di risalita delle trazzere che dalla valle si dirigevano lungo il pianoro, verso Terranova. Vittoria, così chiamata dal nome della fondatrice Vittoria Colonna (1558-1633), nata per il vino, rispettò per quasi tre secoli questa sua vocazione, producendo diverse qualità di “vino nero” riconosciuto come assai pregiato già negli anni Settanta del Settecento da Domenico Sestini (fiorentino, segretario del Principe di Biscari). Oggi è la decima città dell’Isola per popolazione e capitale -possiamo dire- di un grande distretto agricolo che si estende lungo tutta la fascia costiera della provincia di Ragusa e delle aree limitrofe delle province di Caltanissetta e di Siracusa. La civiltà del vino infatti, crollata miseramente a fine Ottocento per l’infezione fillosserica e per i difficili rapporti commerciali con la Francia, fu sostituita sin dai primi del Novecento dalla innovativa coltivazione di pomodoro e di altri ortaggi. Poi, alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, dopo le terribili gelate del 1956, alcuni intraprendenti piccolissimi coltivatori sperimentarono la rivoluzionaria coltivazione del pomodoro sotto serra, aprendo una nuova grandiosa fase di sviluppo economico della città che pur con alti e bassi e grandi difficoltà ha radicalmente modificato la compagine sociale e la vita della zona. Negli ultimi anni però, accanto alla serricoltura, si assiste ad un ritorno del vigneto, con la produzione del cosiddetto “Cerasuolo” (nome introdotto dal cav. Giuseppe Di Matteo nel 1950), composto principalmente dalla miscela di uve di qualità “calaurisi” e “rrappato” (note anche come Nero d’Avola e Frappato, che hanno acquistato recentemente una forte autonomia rispetto al Cerasuolo di cui sono componenti). Vittoria nasce per “ordinare” la campagna (Susani, 1985), ma dalla campagna è a sua volta “creata”. La rete delle trazzere che si partono dall’abitato sin dal Seicento riporta in città grandi ricchezze, che a loro volta hanno bisogno di infrastrutture per essere lavorate e commerciate. Nascono quindi i quartieri attorno alle chiese, la piazza per il mercato, le strade verso il mare, dove è necessario creare uno “scaro” a Scoglitti, per raggiungere Malta ed esportarvi il vino e gli ortaggi. Le campagne si arricchiscono di bagli e di palmenti, di case e di mandre. Un ininterrotto sviluppo del vigneto nel Settecento e nei primi dell’Ottocento plasma la città, dandole una forma “quadrata”, che sarà poi razionalizzata dal primo piano regolatore nel 1881 (Cancellieri sindaco, Andruzzi progettista), una conformazione mantenutasi quasi intatta fino agli anni Sessanta del Novecento, quando la grande rivoluzione nelle campagne allargò a macchia d’olio il centro abitato di Vittoria e di Scoglitti. Città “nuova”, Vittoria fu abitata da un crogiuolo di genti provenienti da numerose città vicine (soprattutto da Ragusa, Chiaramonte, Modica e Comiso) e nel corso del Sei-Settecento accolse anche centinaia di famiglie di coloni provenienti da decine di città dell’Isola, della Calabria e soprattutto da Malta. Nella nuova Terra crebbe una classe imprenditoriale formata da numerosi medi proprietari terrieri, produttori di vino, grano e orzo, commercianti e bottegai, con un preponderante ruolo di religiosi assai intraprendenti e ricchi, che non disdegnavano il commercio. Diretti dai funzionari della Contea, costoro crearono le chiese, i conventi, i monasteri, i palazzi e le altre infrastrutture. Tra le maggiori famiglie, nel Seicento si distinsero i Custureri, i Di Marco, i Bellassai, i Calandra etc., mentre nel Settecento assursero a grande potenza i Ricca, che da umili nullatenenti ai primi del Seicento divennero baroni alla fine dello stesso secolo e poi marchesi e il cui maggiore rappresentante fu l’arciprete don Enrico Ricca, personaggio di grande cultura e di notevolissime ricchezze. Nell’Ottocento i Leni di Spatafora, i La China, i Terlato, gli Scrofani, i Jacono, i Mazza, i Pancari etc. furono protagonisti -assieme ai Ricca- del governo della città e della costruzione di numerosi palazzi e residenze in città e in campagna. Tra le maggiori personalità dell’Ottocento (e forse di tutta la storia di Vittoria) troviamo Rosario Cancellieri (deputato dal 1865 e sindaco nel periodo 1879-1882), autore di un ammodernamento complessivo della città. Altro eccellente amministratore fu il sindaco Salvatore Carfì, che realizzò il progetto cancellieriano di portare a Vittoria l’acqua di Scianna Caporale (recentemente messa in pericolo dalle ricerche di gas), che fu inaugurato il 30 giugno 1898. Questi fu anche il costruttore della Officina Elettrica Municipale (1902) recentemente aperta al pubblico dopo un radicale restauro e intitolata al maggior pittore vittoriese, Giuseppe Mazzone (1838-1880). Altre capaci personalità politiche furono il sindaco avv. Filippo Traina (1947-1950 e 1952-1958), che traghettòla città dal dopoguerra all’attuale sviluppo economico e il dr. Rosario Jacono, deputato regionale dal 1955 al 1963, che seguì con attenzione il nascente sviluppo della serricoltura, proponendo il primo d.d.l. all’Ars. Vittoria ebbe anche il merito di essere la culla del socialismo ibleo, creato da Nannino Terranova Giudice (1881-1918), che diede alla città un’impronta politica mantenutasi per tutto il secolo XX. Vittoria, creata da una continua immigrazione, sin dall’inizio ebbe culti religiosi importati dai coloni. A parte quello di San Giovanni (celebrato anche l’11 gennaio, a ricordo dello scampato pericolo del terremoto del 1693), la cittadina onorò la Madonna della Grazia, poi San Vito, San Biagio e Sant’Antonio Abate (una triade a tutela della salute di uomini e animali), creò due conventi (degli Osservanti alla Grazia e dei Paolotti a San Francesco), un monastero femminile intitolato a Santa Teresa; si distinse nella istituzione di scuole femminili, con due Collegi di Maria (a San Biagio e a San Giuseppe). Tra il Sei e il Settecento elaborò la preziosa tradizione del Venerdì Santo, la maggiore manifestazione pasquale, arricchita di un nuovo testo nella seconda metà dell’Ottocento. Ricca di istituti scolastici, diede i natali a poeti (tra essi ricordiamo Alfonso Ricca, Teresa Jacono Roccaddario, Federico Ricca, Neli Maltese, Emanuele Jacono, Emanuele Mandarà); filosofi (Felice Maltese), letterati (Giacomo Samperisi, Salvatore Guglielmino e -di adozione- Virgilio Lavore, Angelo Alfieri, Giovanni Consolino); storici (Salvatore Paternò, Federico La China, Nannino Terranova, Giovanni Barone e -anch’egli di adozione- Gianni Ferraro). Non mancano musicisti, insigni artigiani e artisti (Carmelo Cultraro, Giuseppe Mazzone, Vito Melodia, Salvatore Battaglia, Emanuele Ingrao, Salvatore Gallo, Pietro Palma, Natale Barone. Le tradizioni popolari, comprese quelle gastronomiche sono ricche e articolate e si muovono -assieme alla parlata- nell’ambito di quelle della Sicilia sud orientale.

 

Tratto da: Vittoria-Scoglitti itinerari storico - artistici. Testo di Paolo Monello

 
Secreti e giurati dal 1614 al 1818
In principio fu il “secreto”, poi accanto a lui sedettero i “giurati”. Secondo il prof. Giuseppe Raniolo (cfr. “La nuova Terra di Vittoria dagli albori al Settecento, Edizioni del Comune di Vittoria 1990), il secreto (o segreto) veniva nominato dalla Corte del Patrimonio della Contea (una sorta di giunta provinciale che amministrava la Contea in nome dei Conti) per l’amministrazione dei beni e dei redditi (in gabelle e censi) del Conte; poteva disporre delle entrate in denaro per l’esecuzione di opera di riparazione di mulini, case, magazzini, previo apposito bando di gara. Aveva piena giurisdizione nei confronti dei gabelloti (appaltatori delle gabelle, cioè tasse su vari generi) e dei vassalli debitori di tributi o di censi nei confronti del Conte proprietario.
Nelle sue decisioni veniva assistito da un maestro notaio. Il primo secreto di cui si ha notizia fu il comisano Paolo Custureri, un ricco possidente che ricoprì l’incarico più volte dal 1614 fino probabilmente al 1619, anno della sua morte (fu il primo ad essere sepolto nella chiesa della Grazia, costruita forse per suo impulso)
Altri secreti furono: Antonio Indovina, notaio nel 1620-1621;  Antonio Galofaro, possidente e genero di Paolo Custureri (per averne sposata la figlia Vincenza nel 1613) nel 1621-1622; Arcangelo Carfì, enfiteuta, nel 1629. A fianco del secreto, dal 1630 in poi, nella documentazione compaiono i “giurati”, in numero di quattro. Una figura risalente all’epoca di Federico II (1194-1250), come aiutanti del baiulo, poi potenziata a veri e propri amministratori delle città dai sovrani aragonesi.
 
Nelle città della Contea dovevano essere quattro, uno dei quali laureato in legge (in generale era il notaio) ed amministravano assieme al secreto. Pertanto abbiamo: il notaio Francesco Brancato (secreto), Vincenzo Recca (arbitro), Michelangelo Di Fede e Giuseppe Garraffa giurati nel 1630 Vincenzo Cannizzo; Francesco Sabini(?); Innocenzo (o Assenzio) Giarratana; Aloy Ignaccolo, enfiteuta: giurati nel 1633 Giombattista Indovina (secreto); Aloi Ignacculo, enfiteuta; Francesco Meli, enfiteuta; Mario Cannizzo, enfiteuta: giurati nel 1638, anno in cui si comincia a parlare di “Università” di Vittoria con lo stesso valore dell’odierno “Comune” o “Municipio”. Antonio Custureri, figlio di Paolo, ricchissimo possidente, nel 1640 (assassinato nel 1645); Vincenzo Grignone, enfiteuta, secreto dopo il 1641 Pietro Puy, funzionario comitale, secreto nel 1643 Francesco Brancato, notaio, di nuovo secreto nel 1646 Filippo di Marco, secreto nel 1647 Mario Cannizzo, enfiteuta; Giuseppe Marangio, enfiteuta; Filippo Calanna (o Calanda o Calandra), possidente; Francesco Meli Grillo, enfiteuta: giurati nel 1648 Giombattista Indovina, notaio, giurato nel 1651 Isidoro Occhipinti, notaio, secreto nel 1652 Antonino Di Grandi (in anno imprecisato) Vito lo Jacono nel 1658-1659 e altre volte (assassinato nel 1666); Gabriele Crespo y Alarcón secreto nel 1666 (maggiorenti: Filippo di Marco, Diego Longobardo, Filippo Custureri, Vito Terlato, Pietro di Marco, Francesco di Marco, Francesco Gafà, Francesco Marangio, Gio. Pietro Diavola) Francesco di Marco secreto; Pietro Pinedo, medico; Giuseppe Mandarà, notaio; Isidoro Occhipinti, notaio; Biagio Cannizzo, notaio (notaio della Corte Damiano Scagliola): giurati nel 1666-1667 Francesco Marangio, possidente, secreto nel 1671-1673 Filippo di Marco secreto nel 1676-1679 Giovanni Marangio; Giacomo Ottaviano, notaio: giurati nel 1676 Filippo Custureri, possidente, dal 1679 e più volte Marcello Catania, possidente, secreto nel 1688-1689 Giacomo Ottaviano, notaio, secreto nel 1690-1691 Antonino Custureri figlio di Filippo (fu destituito in occasione della presa di possesso del nuovo Conte Juan Thomas nel 1691, ma prorogato fino a nuovo ordine Marcello Catania, di nuovo secreto nel 1691-1692; dr. don Antonino Laurifici (Lorefice); Blasio Cannizzo, notaio; Antonio Terlato, aromatario (o speziale, una sorta di farmacista); Gio. Batta Guastella giurati nel 1691 Isidoro Occhipinti, notaio, secreto nel 1704-1706 Gioacchino Taranto, possidente, giurato nel 1706 Pietro Saverio di Marco, possidente, Biagio Toro, possidente, Francesco Ottaviano, notaio e Francesco Terlato giurati nel 1714 (dopo il passaggio della Sicilia dalla Spagna ai Savoja) Francesco Maria La China, sindaco; dr. Guglielmo Paternò, Carmelo Fatuzzo, Arcangelo Mazza e dr. Mario Occhipinti, giurati nel 1747-1748 Il termine “sindaco”, affiancato dal “Consiglio Civico” fu pertanto introdotto all’epoca di Carlo III di Borbone (1734-1759).
 
La documentazione del Settecento fino ad oggi esaminata non ci consente di individuare per ora gli amministratori anno per anno. Però, un quadro generale della situazione si può derivare dalla composizione del Consiglio Civico nel 1763. Riprova la carica di sindaco Antonio Terlato, giurati erano il barone Porcelli Giudice, il barone Riccardo Toro. Il Consiglio era inoltre composto da: ecclesiastici (don Giovanni Cicerone Vice Rettore, don Gio. Batta Benvissuto Vicario Foraneo, fra Bonaventura Vicario de Monasteri, fra Gaetano Busacca Correttore de' Minimi di San Francesco di Paola); ufficiali e funzionari vari (Giuseppe M. Guastelli Cap.no di Giustizia; barone Giuseppe Biazzo proconservatore, Mario Occhipinti); da “Primarii” (cioè nobili e le persone più importanti per ricchezza): barone Carlo Nicolò Leni, Baldassare Toro, Giuseppe Carfì, Antonio Cannizzo, Giuseppe Lucchese, Giachino Taranto, Antonino Custoreri, Francesco Occhipinti, dr. don Gio. Batta Mazza, Mario Ingallina; da “Civili” (cioè benestanti in genere): Stefano Battaglia, Dionisio Zapparrata, Antonio Vella, Francesco Ottaviano, Filippo Terranova, Giovanni Mangione; da “Maestri e burgesi” (artigiani e commercianti), cioè: m.ro Mario Cultraro, m.ro Giovanni Orecchia, m.ro Vincenzo Civello, m.ro Nicolò Scalone, m.ro Vincenzo Taglierini, m.ro Antonino Salerno, m.ro Rosario Cicerone, Giacomo Barrano, Onofrio Monello, Onofrio Cascia, m.ro Gaetano Mangione, Vincenzo Sarancone. La China, Francesco junior, sindaco nel 1766 Mazza, Giuseppe, sindaco nel 1776 Ai primi dell’Ottocento: Isidoro Bellassai, notaio; Giovanni Antonio Paternò; Rosario Leni giurati nel 1806-1807 Salvatore Spataro, notaio, Michele Benvissuto, Giuseppe Antonio Terlato, barone; Mario Maggiore, giurati nel 1807-1808  Giombattista Alessandria, Giuseppe Japichino, Salvatore Cilio, Eduardo Terlato giurati nel 1808-1809 Vincenzo Guastella; Felice Costa, barone; Salvatore Marchese; Salvatore Occhipinti giurati nel 1809-1810 Il Consiglio Civico nel 1813 era formato da Giacomo Platania maestro notaro, Mario Di Pasquale, dr. Santo Giudice, Rosario Giudice, mastro Gaetano Japichino, dr. Salvadore Licita, mastro Giovanni Barrano, mastro Salvadore Falconieri, mastro Salvatore di Stefano, Rosario Leni, Giovanni Antonio Cara, Salvadore Terranova, Gio. Batta In gallina, Emmanuele Sarrì, Carlo Leni, Errico Ricca, Giachino Jacono Alfonso Ricca, Gio. Batta Terranova, sac. Raffaele Calì, barone Salvatore Ciani, sac. Antonio Giudice, Antonio Jacono, Francesco Leni, sac. Gio. Batta Leni, sac. Biaggio Occhipinti, Giuseppe Antonio Terlato, Gaetano Alessandrello, Salvadore Di Pasquale, Salvadore Occhipinti, Giachino Paternò, Costantino Sinatra, Gio. Batta Terlato, sac. Settimo Terlato, Francesco Porcelli, Emmanuele Scorfani, Eduardo Terlato (Salvatore Benvissuto era il notaio municipale, figura equivalente all’odierno segretario generale). Sindaci dal 1818 al 1887 Dopo il periodo costituzionale (1812-1816), la Sicilia perse la sua indipendenza e il Regno fu annesso a Napoli, con la creazione del Regno delle Due Sicilie. Dal 1° marzo 1818 furono pertanto estese alla Sicilia le norme amministrative vigenti nel Napoletano, introdotte dai Francesi. Furono così create sette province, divise in distretti (governati da sottintendenti) e Vittoria appartenne al distretto di Modica.
 
Ai Consigli Civici si sostituirono i Decurionati, composti da tre cittadini per ogni mille abitanti, scelti dal governo centrale entro una lista di eleggibili per censo o titolo di studio. Il Comune era retto da un sindaco e da due collaboratori, chiamati primo eletto (un dottore in legge) e secondo eletto (con funzioni di vice-sindaco. Si cominciò anche a creare la struttura degli uffici, con un cancelliere archivario (per l’emanazione degli inviti ai decurioni e la tenuta degli atti adottati) e il cassiere.  Pertanto ecco i sindaci del periodo borbonico, quale è possibile ricostruire da precedenti opere storiche (in particolare da “Vittoria. Storia di una città”, di Gianni Ferraro, 1988) rivedute e corrette in base ad altra documetnazione:
Leni Spadafor; Filippo Neri 1818-181; Porcelli Francesco 1819-1821; Scrofani Giovanni 1821-1822; Porcelli Francesco 1823-1825; Camilleri Gregorio 1826-1827; Sarri farm. Emanuele 1828-1832; Scrofani Franco 1833-1841; Leni Spadafora Gaetano 1842-1846; Mazza Gaetano 1846-1848.
 
Riteniamo inoltre opportuno riferire della composizione del Comitato rivoluzionario che assunse i poteri nel febbraio 1848: Giovanni Leni, Presidente; Salvatore Contarella, Vice Presidente e Segretario; cav. Federico Ricca; Ferdinando Ricca; Giuseppe Jacono; Ferdinando Jacono; dott. Gioacchino Cancellieri; Francesco Astuto; Franco Scrofani; Salvatore Mazzara; Salvatore Jacono Roccadario; Rosario Cultrone Tale Comitato (che per i nomi di “rivoluzionario” aveva ben poco) svolse all’inizio le funzioni del Decurionato, poi fu eletto un Consiglio Civico presieduto dal barone Gioacchino Ricca, mentre presidente del Municipio (cioè sindaco) era Antonino Lio.
Nell’aprile 1849, sconfitta la “rivoluzione”, il barone Ricca spontaneamente restituì il potere a don Gaetano Mazza, il sindaco borbonico destituito l’anno prima. Per cui, nel decennio 1850-1860 furono sindaci: Gaetano Mazza 1849-1850 Franco Scrofani 1850-1853 Giovanni Leni Spadafora 1853-1856 Dopo lo sbarco di Garibaldi e le sue vittorie, il 30 giugno 1860 fu eletto di nuovo un Consiglio Civico, così composto: Antonio Alessandrello, Emanuele Alessandrello, fra’ Angelino Amodei osservante, Francesco Astuto, Paolo Calì Bellassai, Paolo Calì Vicino, Giacomo Carfì, fra’ Francesco Ciancio parlotto, Gaetano Contarella, Leonardo Contarella, Lucio Contarella, Emanuele Giordano, Gioacchino Giordano, Giombattista Giudice Jacono, sac. Federico La China, Antonino Lio (eletto presidente del Consiglio ma, troppo vecchio, non fu mai presente), Giuseppe Lio, Salvatore Maggiore, not. Filippo Neri Maltese, Giombattista Mazza Porcelli, Clemente Mazzone, Giuseppe Nicolosi, Giuseppe Antonio Panaria, Giovanni Antonio Paternò, barone Salvatore Paternò, dr. Francesco Porcelli, Giombattista Ricca, marchese Salvatore Ricca, Giuseppe Sarri, Giuseppe Sinatra, baronello Salvatore Terlato (vice-presidente che, per l’assenza di Lio, svolse le funzioni di presidente del consiglio), Salvatore Terranova, Paolo Vicino Piazzo. Costituitosi il Regno d’Italia, furono sindaci (sempre di nomina regia) Francesco Salesio Scrofani 1861-1868 Giombattista Jacono Jacono 1868-1874 (dopo la sua destituzione per il coinvolgimento dei suoi fratelli nel delitto Pancari svolsero la funzione di sindaco vari assessori anziani (fra cui il dr. Felice Maltese) Giovanni Leni Spadafora 1876-1878 Rosario Cancellieri 1879-1882 Gioacchino Jacono 1883-1884 Giombattista Carfì-Pavia 1886-1887 Sindaci e commissari prefettizi dal 1889 al 1945 Modificata la legge, dal 1889 i sindaci furono invece eletti dal Consiglio Comunale. Il primo di essi fu di nuovo il vecchio Giombattista Jacono Jacono 1889-1890 Giovanni Porcelli Mazza 1890-1892 Francesco Leni Spadafora 1892-1895 Salvatore Carfì Jacono 1895-1903 Giuseppe Giudice Porcelli 1903-1907 Salvatore Carfì Jacono 1907-1911 Cesare Giordano 1911-1912 Gíoacchino Giudice 1912-1914 Emanuele Lucchesi 1914-1920 Ferdinando Jacono (pro­síndaco) maggio-novembre 1920 Salvatore Molé (pro­sindaco) novembre 1920-marzo 1921 Marcello Spagna (regio commiss.) 1921­-1923 Salvatore Gucciardello 1923­1924 Salvatore Ricca 1924 -­1925 Luigi Daga (commiss. prefettizio) 1925 Salvatore Scrofani 1925­1927 Dopo le “leggi fascistissime”, gli stessi consigli comunali furono soppressi e fu introdotta la figura del podestà (spesso, per le beghe interne al Pnf sostituiti da commissari prefettizi).
 
Il primo podestà fu Gioacchino Calì 1927-1928 Enrico Nicolao (comm. prefett.) 1928 Antonio Brunelli (comm. pref. ) 1929 Giovanni Cricchio (comm. pref.) 1929-1930 Michele Maltese 1930-1933 Lucio Giudice Bennardo (comm. pref.) 1933-1934 Giuseppe Lucchesi (comm. pref.) 1934 Lucio Giudice Bennardo 1934 Giuseppe Lucchesi (comm. pref.) 1934-1935 Sebastiano Secolo 1935-1936 Giovanni Santapà (prima comm. pref. poi podestà) 1936-1942 Raffaele Di Giacomo (vice podestà poi podestà e poi sindaco) 1942-1943 Salvatore Molé (come comm. pref. e sindaco) 10 settembre-7 dicembre 1943 Giovanni Corica (comm. Prefettizio) 8 dicembre 1943-8 febbraio 1944 Giovanni Fotí sindaco 9 febbraio 1944-21 novembre 1944 Stefano Russo (comm. pref.) 25 novembre-14 gennaio 1945 Vittorio La Rocca (comm. pref.) 15-26 gennaio 1945 Giombattista Omobono sindaco 27 gennaio 1945-10 agosto 1946 Salvatore Vaccaio (comm. Pref.) agosto-novembre 1946  Le prime elezioni si svolsero il 17 novembre 1946, in conseguenza delle quali il 7 dicembre 1946 fu eletto di nuovo sindaco (vedi apposita voce intitolata (I Sindaci di Vittoria dal dopoguerra ad oggi).
 
 
Testo di Paolo Monello
 
 
 

La cucina vittoriese ha un suo spazio ben preciso anche se non si discosta molto dalla tradizione culinaria del ragusano e del modicano. Alcuni piatti sono caratteristici e legati a periodi dell'anno o a festività ben precise.

CARNEVALE - Sono d'obbligo i maccheroni con il ragù di maiale, le costate di maiale ripiene, la salsiccia e, per finire, i cannoli di ricotta.

FESTA DI S. GIUSEPPE - Si usa ancora oggi in qualche famiglia fare la pagnuccata: un impasto di farina e vino, tagliato a dadini, fritti poi nell'olio bollente e amalgamati con miele e riavulina (zucchero a forma di bastoncini di mille colori).

PASQUA - La fanno da padrone le classiche " 'mpanate d'agnello ": un involucro di pasta di pane con all'interno pezzi di carne di agnello (o di vitello) soffritto con cipolla e piselli; i "pastieri" impasto di pane aperto, con dentro interiora d'agnello soffritto con piselli; un po' in disuso la cosiddetta "abbuttunata" cioè la coscia d'agnello disossata e ripiena di carne tritata, pezzetti di salame, uovo sodo, cotta al forno con contorno di patate; "i cassateddi" impasto di pane ripieno di ricotta frullata con zucchero e condita con cannella e riavulina. E poi le uova sode, inserite in canestri fatti di pane, dette panarini e dolci di tutti i tipi: dai tipici biscotti bollitti (affucaparrini) ai taralli ai zuddi fatti con pasta di mandorle e farina.

FESTA DI S. GIOVANNI (luglio) - Non c'è una vera e propria tradizione culinaria, tranne forse quella ormai scomparsa di cucinare galletti o galline in brodo, anche ripieni di riso e carne tritata, tradizionalmente però a San Giovanni si gusta per la prima volta il tonno fresco "tunnina".

LA VENDEMMIA - Tipica di questo periodo è la "mustata" fatta con mosto addolcito con cenere e bollito, mescolato con amido o semola fino ad ottenere una crema che viene condita con mandorle tostate e cannella. La mustata si consuma calda o anche in inverno dopo averla fatta seccare al sole. Sempre con il mosto viene fatto un altro dolce: i "cuddureddi", anellini di impasto di farina e mosto cotti nel mosto o nel vinocotto diluito, anch'essi conditi con mandorle tostate tritate e cannella. Infine con il vinocotto, cioè il mosto bollito e ribollito fino restringersi a poco più di un terzo del liquido originario, aromatizzato con bucce d'arancia, si confezionano i "mastazzola" (mostaccioli) e i "mucatoli". Tipica di fine settembre - ottobre la marmellata di cotogne "cutugnata" che si mette ad asciugare al sole nelle caratteristiche forme di terracotta.

NOVEMBRE - I MORTI - La tradizione vuole si consumi la pasta reale o martorana fatta con pasta di mandorla, realizzata a forma di frutta varia.

SAN MARTINO - E' una festa tutta vittoriese, e si gustano le frittelle, impasto di farina e acqua fatto lievitare per diverse ore e fritto in olio bollente. Possono essere salate, cioè condite con sarde salate, o dolci condite con zucchero, uva passa, cannella e volendo anche semi di finocchio.

SANTA LUCIA - Tipico dolce la "cuccia", grano ammollato in acqua o nel latte condito con zucchero o vinocotto.

NATALE - E' legato alla tradizione del torrone di mandorle e della cosiddetta "giurgiulena", una sorta di torrone fatto con semi di sesamo. Un tempo, in questo periodo, si usava scannare il maiale per trarne salsicce, lardo salato e una volta anche un dolce detto "sancielu" (sanguinaccio) che si faceva col sangue mescolato di continuo per non farlo coagulare, quindi impastato con zucchero e mandorle tostate.

PRODOTTI TIPICI - Al di là delle feste vi sono molti altri prodotti della cucina vittoriese. Ne citiamo solo alcuni. "Scacce" (focacce): involucri di pasta di pane ripiena di salsa di pomodoro e cipolla, o di ricotta e salsiccia o di cavolfiori, di patate, di melanzane ecc… "Ciappi": pomodoro spaccato ed essiccato al sole e quindi conservato con basilico e olio. "capuliato" derivato dalla macinazione del pomodoro essiccato, con aggiunta di peperoncino e basilico. "strattu": estratto di pomodoro essiccato al forte sole di luglio; "arancine" di riso, al ragù di carne con uovo sodo e piselli, fritte in olio bollente; Ravioli di ricotta conditi col sugo di maiale e ancora pizze, polpette di patate, pasta di casa con il macco (purea di fave), falsomagri al sugo, carciofi ripieni di riso e naturalmente il pesce.
Tra i vari pesci è tipica la "trigghiuledda" triglie giovanissime passate nella farina con basilico e pomodoro a pezzetti, fritte in una sorta di sformato.
Tra i contorni spicca la caponatina con melanzane, peperoni, cipolle, sedano, capperi e olive, aceto e zucchero. La zucca gialla fritta, con aceto e olive nere.

I cipudduzzi (lampasciuoli) cipollotti dal cuore amaro, cucinati bolliti e conditi con olio, limone, aglio e prezzemolo o in agrodolce, insaporiti con un soffritto di aglio prezzemolo salsa di pomodoro, aceto e zucchero.
Per quanto riguarda i dolci, oltre a quelli citati ve ne sono altri come "u biancu manciari" crema di latte (o latte di mandorla) e amido o i cassateddi ravioli dolci di ricotta fritti nell'olio bollente e cosparsi di zucchero.

 

Tratto da Vittoria 2000 - Testo di Paolo Monello

Si celebra l'11 Gennaio a ricordo del terribile terremoto che nel 1693 distrusse la Sicilia sud-orientale. Le prime scosse furono avvertite la sera del venerdi 9 gennaio e causarono gravissimi danni e centinaia di morti. La seconda la più spaventosa si verificò la domenica dell'11 alle 21 quando le chiese erano piene di fedeli i morti furono complessivamente 60.000. Vittoria registrò pochissimi morti ma furono gravemente danneggiate la Chiesa Madre e due conventi, quello delle Grazie e quello di San Francesco di Paola. In quell'occasione la città attribuì a San Giovanni il merito di averla salvata dal terremoto e lo elesse a suo patrono. Vi sono due leggende a tal proposito. La prima narra che la statua di San Giovanni fu trovata decapitata dipo il sisma e questo fu interpretato come un sacrificio di sostituzione tra il "Santo, la sua chiesa e la città che grazie al suo intervento fu risparmiata. Un'altra leggenda afferma invece che per sapere quale santo ringraziare i nomi furono messi in un'urna e sorteggiati e per tre volte di seguito sarebbe venuto fuori il nome di San Giovanni. In verità esiste una precisa disposizione delle autorità spagnole dell'epoca che nell'approssimarsi del primo anniversario del sisma stabilì che ciascuna città rendesse onore al suo santo protettore.

 

Tratto da Vittoria 2000 - Testo di Paolo Monello

La solennità del patrono San Giovanni ricorreva anticamente il 24 giugno, ma ai primi del XX secolo, i festeggiamenti vennero spostati alla prima domenica di luglio, per consentire a mezzadri e a contadini di prendervi parte, non appena finita la raccolta del grano e delle fave.
La festa comprendeva una fiera di panni che si sviluppò nel XX secolo e segnava l'inizio della stagione estiva. In onore del santo Patrono si correva anche un palio lungo l'attuale via dei Mille.
Oggi la Festa è soprattutto religiosa con una lunga processione che si snoda lungo le vie del centro storico con migliaia di fedeli anche a piedi nudi.

 

Tratto da Vittoria 2000 - Testo di Paolo Monello